Caro vai a caccia? No, a Pokémon. Ogni epoca ha il suo raccolto di stagione e – chi ce lo doveva dire? – ora insieme alle prugne è tempo di Pokémon. Avete presente il cartoon che andava di moda a inizio anni 2000, quello delle piccole creaturine animate e polimorfe disseminate nelle foreste giapponesi, e indistintamente nelle sorprese delle merendine, destinate ad arruolarsi come magneti sul frigo? Esatto, gli strampalati mostriciattoli magici stanati da Ash, aitante giovanotto in berretto e visiera che abbandona gli studi per dedicarsi full-time alla disoccupazione giovanile, e li accalappia a retate, uno dopo l’altro, a colpi di bocce, dentro sfere Poké simili a formaggini Babybel, al grido di Gotta catch’em all (Acchiappali tutti) scalpitato con la stessa veemenza di un invitato al buffet in direzione dei rustici, per addestrarli a combattere e diventare l’idolo indiscusso dei bambini dopo Solletico e Uan di Bim Bum Bam? Ecco, Ash è tornato tra noi, Ash addirittura potresti essere tu. Questo è reso possibile dalla sensazionale App per iOS e Android appena uscita Pokémon Go, vero e proprio fenomeno virale che impazza tra gli inguaribili romantici del genere, subito armati di smartphone e cappellino alla rovescia. Il congegno, che sfrutta il sistema interattivo della “realtà aumentata”, inserisce nel raggio visivo degli aspiranti allenatori, mediato dal telefono, proprio loro: le piccole bestiole spaurite, trasportate direttamente dall’etere in cattività nel mondo bidimensionale. Nulla appare cambiato agli spettatori normodotati della realtà sprovvisti di occhio virtuale, ma la verità è che dopo le cavallette e i magazzini cinesi ci hanno invaso anche loro! Gli striduli sgorbi che invocano il proprio nome prima di esibirsi in straordinari superpoteri vs. l’emicrania contagiosa e lancinante del papero Psyduck (che pure non aveva approcci piccanti da eludere con l’anatra di turno) o la cantilena soporifera del roseo batuffolo Jigglypuff, presto contattato da David Guetta per incidere un duetto ritmato che non dia ugualmente scampo. Stormi di Pidgey col ciuffo dei The Kolors sorvolano la città, Snorlax spiaggiati ai bordi delle strade che se si allenano battono a malapena la fiacca e l’elettrizzato Pikachu ancora una volta si afferma campione all’Eredità perché imbattibile alla scossa. Un’orda di invasati invade Hyde Park alla ricerca di Vaporeon e gli scoiattoli si guardano tra loro impietositi dallo sfacelo del genere umano, mentre in Cina un eroe si spinge fino alla gabbia del leone, che chiaramente non obbedisce al comando “CHARIZARD SCELGO TE” ma infastidito reagisce “Aò io so’ Leone, e ’sto Charizard ma chi lo conosce?”, tradendo così le sue origini di Testaccio dopo anni di domicilio a Hong Kong . I dilettanti coach istituiscono palestre di Poke-marines che addestrano con la grinta di Jil Cooper per affrontare qualsivoglia battaglia contro i nemici compagni di mania, si dedicano anima e plasma ai loro pupilli, investono benzina e giga per raggiungerli, li premiano a manciate di caramelle e quando vincono gli fanno pure le carezze, salvo prima essersi accertati di aver bloccato il touchscreen sennò si apre Whatsapp e si sente puzza di vita reale, e non sia mai per carità. Con lo sguardo fisso e alienato sullo schermo, i provetti Ash inseguono il loro anacronistico sogno di vanagloria di affermarsi CT di una squadra di pupazzi irreali e nel frattempo incidentano in tangenziale, prendono svariati pali tutti in fronte-sdeng! e si consacrano probi al celibato perenne, perché la carne è debole ma Pokémon Go è una figata pazzesca. E per noi senza App, ugualmente affamati di emozioni forti, non resta che dirigerci perplessi in fila allo spopolato buffet. Ognuno acchiappa quel che può: voi prendetevi Pikachu, ma il rustico col wurstel è il mio.