È uscita da due settimane esatte e ha già raggiunto la posizione numero 6 dei libri più venduti in Italia, mentre negli USA è schizzata direttamente in vetta. Di cosa parliamo? Semplice, di “Born to Run”, l'autobiografia del Boss del rock Bruce Springsteen. Il cantante e leader della E Street Band, che ha da poco concluso il suo ennesimo tour in giro per il mondo, si racconta a 360° nelle 536 pagine che compongono il libro: dall'infanzia e la turbolenta adolescenza a Freehold, passando per il burrascoso rapporto con il padre, passando per la faticosa scalata verso il successo, fino ai giorni d'oggi.

L'idea di Bruce di mettere su carta le sue avventure è nata nel 2009, quando si è esibito in occasione del Super Bowl. Tra un disco e una tournée, dunque, il cantante del New Jersey si è dedicato alla stesura di questa opera scatenata e introspettiva, proprio come le sue canzoni: immergendoci nella lettura, infatti, si scopriranno le tante sfaccettature caratteriali di Springsteen, l'allegro istrione e il ragazzo insicuro e tormentato, la rockstar sguaiata capace di raggiungere il successo planetario con “Born in the USA” e il cantautore politicamente e socialmente impegnato di “Nebraska”, il giovane smanioso di sfondare ai tempi di “Born to Run” e l'uomo realizzato che si innamora di Patti Scialfa, sua attuale moglie (e membro della E Street Band).

A fare – solo apparentemente – da sfondo a tutto ciò, le amicizie con il suo manager e produttore Jon Landau, con il sassofonista Clarence Clemons (deceduto nel 2011 e sostituito nella band da suo nipote Jake), con il chitarrista Steve Van Zandt e con altri personaggi più o meno famosi. «C’è qualcosa di strano nel raccontarsi per iscritto... Tuttavia, c’è una promessa che l’autore di un libro come questo fa al lettore: aprirgli la propria mente. È quanto ho cercato di fare in queste pagine», dichiara il Boss fin dalle prime righe. E quello che colpisce di più è che la missione è più che riuscita: Springsteen ci trascina nel suo mondo e nella sua testa, mettendo a nudo alcuni lati di sé che forse solo i più grandi fan conoscono. Lo spettro della depressione, ad esempio, e il peso del successo; la volontà di arrivare ai livelli delle leggende del rock e, contemporaneamente, il bisogno di una vita normale, rappresentata da una casa, una famiglia e dall'anonimato. Bruce ci mostra i due lati della sua medaglia, giungendo alla conclusione - scontata, forse – che tutto sommato è andata benissimo così. Ma non per i soldi, né per la fama; bensì perché è riuscito a realizzare il sogno che covava dentro di sé fin da ragazzo, quando per 18 dollari acquistò la sua prima chitarra classica, una specie di rottame che riuscì comunque a mostrargli la magia del rock 'n' roll.

Con uno stile a tratti esageratamente epico (il Boss è fin troppo consapevole di essere una leggenda, del resto...) e spesso autoironico, ma sempre coinvolgente e incalzante, il cantante statunitense riflette sulla sua condizione di star e di semplice essere umano. Ne emerge un ritratto di un uomo clamorosamente innamorato della vita e di tutte le sue sfaccettature, di un cantore del proletariato americano (e non solo), di una star mondiale che non ha dimenticato le sue umili origini e di un “entertainer” che non ha eguali a livello musicale. Con la consapevolezza che, come canta in “Badlands”, “non è peccato essere felici di essere vivi”. E questo libro, come il suo autore, di certo lo è. Dalla prima all'ultima pagina.